Ci lascia Whitney Houston: ora la musica è più povera….

Oltre 10.000 album venduti, sei Grammy Awards vinti, copertine e  riconoscimenti; potremmo riassumere così la vita della celeberrima star Whitney Houston, che ha dominato per circa due decenni le classifiche di tutto il mondo e ispirato nuove  generazioni di artisti e “American Idol”. Interprete eclettica, dalla  voce limpida e vibrante, sempre sopra di un’ottava e capace dei più complicati virtuosismi musicali, la Houston  si è spenta lo scorso sabato in una stanza d’albergo a Los Angeles all’età di 48 anni. Formatasi tra i cori gospel con il sostegno della madre, Cissy Houston, aveva raggiunto il successo negli anni ottanta, scalando le classifiche mondiali e conquistando il mercato discografico che fino ad allora si era solo parzialmente aperto agli artisti di colore. Nei primi anni novanta si inventa, con successo,  attrice e modella. Poi il declino, brusco e improvviso, l’alcol e le droghe; infine la morte. Conosco troppo poco bene la musica della Houston per poterne discutere, ritengo però doveroso, in questo momento,  riconoscere le capacità vocali e il talento di questa straordinaria artista che con le sue doti canore è  riuscita a dare spessore e intensità a melodie talvolta un po’ banali/banalizzate, ad umanizzarle. Un esempio renderà meglio l’idea. Nel 1991 guardavo per caso la performance di apertura  del Super Bowl: una donna nera con una tuta e una bandana bianche. L’America era in guerra con l’Iraq, e il più grande evento sportivo del paese stava per cominciare sotto una nuvola di ansia e intanto quella donna intonava l’inno nazionale americano. In due minuti, aveva trasformato quell’inno in una mini-opera, costringendo  gli ascoltatori  a considerare con attenzione e trasporto ogni parola, fino all’estatico finale, uno sforzo di ben undici secondi per ringraziare il pubblico, i collaboratori, forse il cielo. Aveva dato una speranza.

 Proprio l’anno scorso ho avuto poi modo di vedere l’inizio di un altro Super Bowl; questa volta era Christina Aguilera ad intonare l’inno.  Una mera dimostrazione di abilità vocale, a scapito delle parole; la superba ostentazione delle proprie capacità, segno di come cambino i tempi, e le “stelle”.

Ispirandomi  banalmente ad una canzone degli anni ’70 di Dolly Parton, poi colonna sonora di “The Bodyguard”, film  del 1992 con Kevin Costner, non posso fare altro che augurarti, cara Whitney, che la tua Voce, come l’amore in “Always”, durerà per sempre.

                                                                                                Maria Lucia Cazzato

 


Giustizia Internazionale: Germania 1 – Italia 0

Germania batte Italia. Non parliamo di una partita di calcio ma di un presunto atto di giustizia internazionale. Qualche giorno fa, la Corte internazionale di giustizia dell’Aja – il più alto organo giudiziario dell’Onu – ha accolto il ricorso che la Germania aveva proposto contro l’Italia per ottenere il blocco dei versamenti delle indennità alle vittime dei crimini nazisti. Con una sentenza di 54 pagine,l a Corte ha accolto interamente i punti del ricorso presentato dai tedeschi, che accusano l’Italia di “venire meno ai suoi obblighi di rispetto nei confronti dell’immunità di uno stato sovrano come la Germania in virtù del diritto internazionale”.La Corte dell’Aja ha poi disposto, come era stato richiesto da Berlino, di “ordinare all’Italia di prendere tutte le misure necessarie” affinché le decisioni della giustizia italiana che contravvengono alla sua immunità siano prive d’effetto e che i suoi tribunali non pronunzino più sentenze su simili casi d’effetto.

L’inizio del contenzioso risale al 23 dicembre del 2008, quando Berlino decise di ricorrere contro la sentenza della Cassazione del 21 ottobre 2008 che riconosceva la Germania responsabile per “essere stata la ‘mandante’ dei militari nazisti che il 29 giugno del 1944 uccisero 203 abitanti di Civitella, Cornia e San Pancrazio (Arezzo)”, sparando a donne, bambini, uomini e vecchi. La sentenza, considerata un “precedente storico”, aveva sancito per la prima volta il diritto per le vittime delle stragi naziste di essere risarcite in seno ad un procedimento penale (in passato c’erano state solo delle sentenze di risarcimento danni nelle cause civili). Nessun altro Paese al mondo aveva mai cercato di intentare una causa di risarcimento nei confronti della Germania, proprio per via della clausola dell’immunità giurisdizionale. L’Italia, invece, aveva voluto rischiare. Il contenzioso tra Roma e Berlino aveva portato all’iscrizione di un’ipoteca giudiziaria su Villa Vigoni, centro culturale di proprietà dei tedeschi, in provincia di Como che, in caso di sentenza favorevole all’Italia,  sarebbe finita all’asta (almeno seguendo quanto riportato nel corposo faldone giudiziario). “Ora l’ipoteca deve essere cancellata”, ha affermato l’avvocato Julian Stefenelli, consulente giuridico del centro culturale italo-tedesco di Loveno di Menaggio. In realtà però, si sa che le sentenze della Cassazione sono definitive e non suscettibili di revisione. Probabilmente dovrà essere la ministra della giustizia Paola Severino a trovare la soluzione.  È plausibile dunque che, per decreto, si decida di sospendere l’efficacia delle sentenze contestate dall’Aia. Ma il difensore, l’avv.  Lau mette le mani avanti: «I miei mandanti sono titolari di diritti di risarcimento acquisiti in via definitiva. Secondo il diritto costituzionale italiano, nessuno può essere espropriato senza risarcimento». Il governo italiano rischia di dover lui indennizzare le vittime dei nazisti, se non riuscirà a negoziare un regolamento risarcitorio con la Germania.

                                                                                                            Maria Lucia Cazzato


Ecuador, riserva di Yasuni: la “rivoluzione verde” può partire da qui….

Il Paradiso esiste ma è a rischio. Ci troviamo in Ecuador, a Yasuni: il succo della biosfera, il concentrato della biodiversità del Pianeta, 982mila ettari di foresta amazzonica, al confine tra Colombia e Perù, sui quali pende la condanna alla contaminazione umana e chimica: sotto questo Eden, come ha riportato un reportage de “L’Espresso”, c’è uno degli ultimi grandi giacimenti petroliferi del Paese sudamericano. “Yasuni è una rarità: in un ettaro contiene più specie di piante native di quante ne contengano gli Stati Uniti e il Canada insieme; è un centro di ricchezza quadrupla, in cui si ha cioè il massimo di biodiversità per piante, mammiferi, anfibi e uccelli”, spiega Alberto Acosta, economista presso l’Università Flacso di Quito. Il parco, inoltre, confina con la riserva degli Waorani, una popolazione che si è ritirata in un angolo della foresta e chiederebbe solo di poter continuare a vivere come ha fatto per migliaia di anni mantenendo i caratteri unici presenti nel proprio DNA, dovuti allo storico isolamento. Ma, si sa, ogni Paradiso ha il suo inferno: la foresta, come detto, giace sopra tre potenziali campi di estrazione petrolifera: si tratta di circa 846 milioni di barili di greggio (per un valore di 7 miliardi di dollari) che fanno gola.”Sparirebbe tutto in poco tempo: lontre, delfini di fiume, scimmie urlatrici e tucani, e probabilmente anche le etnie intoccate poiché, spesso, sulle popolazioni locali l’industria petrolifera si traduce in segregazione e povertà”, afferma Pierpaolo Biagi, rappresentante di “Terres des hommes Italia” in Ecuador. Ma una via di salvezza, per fortuna, c’è: il presidente ecuadoriano Rafael Correa si è detto disposto a non toccare il giacimento in cambio di 3,6 miliardi di dollari (la metà del suo valore complessivo) versati in 13 anni dai Paesi industrializzati, i quali da tempo insistono sulla riduzione delle emissioni per rallentare il cambiamento climatico. Ora l’Occidente, dopo tanti bei discorsi, ha la possibilità di dimostrare concretamente le proprie intenzioni. Il fondo, gestito dalle Nazioni Unite per garantirne la trasparenza (visto l’elevato grado di corruzione del Paese), sarebbe una vera e propria “rivoluzione verde”. Correa aveva tuonato: “Se entro la fine del 2011 l’Ecuador non avrà incassato un acconto di 100 milioni di dollari, il patto con il resto del mondo salterà”. La proposta era data per spacciata, visto che in pochi avevano versato denaro sul fondo: alla fine, però, è scesa in campo Hollywood con personaggi come Leonardo Di Caprio, Bo Derek, Edward Norton, seguiti a ruota da Al Gore, governi nazionali e locali europei e non solo, organizzazioni non governative, privati, imprese e sono cominciate a piovere donazioni da tutte le parti. Ma ancora dev’essere fatto molto per evitare che il flagello petrolifero passi, portando con sé devastazione e miseria. Come recita un’antica fiaba indiana, “quando sarà stato abbattuto l’ultimo albero, inquinato l’ultimo spicchio di mare e uccisa l’ultima bestia, l’uomo si accorgerà che il denaro non è commestibile”. Per non arrivare a questo punto, il mondo ha un’opportunità: non possiamo permetterci di sprecarla.

                                                                                                              Ivan Corrado

 


Morire per delle idee: la storia di Wilman Villar Mendoza.

Si è spento venerdì mattina nell’Ospedale Juan Bruno Zayas di Santiago di Cuba, Wilman Villar Mendoza, dissidente e  prigioniero politico cubano. Il 31enne, che dal settembre 2011 apparteneva al gruppo ‘Unione Patriottica di Cuba’, organizzazione illegale di opposizione al regime castrista, era stato arrestato lo scorso 14 novembre nel corso di una manifestazione e condannato a 4 anni di prigionia. In segno di protesta contro la sentenza definitiva aveva intrapreso, il 24 novembre, uno sciopero della fame durato 50 giorni. Ora, mentre gli oppositori preparano proteste e dimostrazioni a Santa Clara, in occasione del funerale di un compagno di lotta, Raúl Castro si affretta a specificare ai media internazionali che “era un delinquente comune”, finito in prigione per avere prima brutalizzato sua moglie nel corso d’una lite domestica e, quindi, per aver opposto resistenza all’intervento degli agenti in difesa della consorte maltrattata. La sua morte, prosegue il comunicato governativo, è infine sopraggiunta, nonostante il prodigarsi dei medici, per una malattia contratta quando ancora era fuori dal carcere. Inutile aggiungere che la smentita arriva da un elenco governativo ufficiale di dissidenti, in cui troviamo la foto e dati del Mendoza.

Il caso sembra la replica esatta, di quello vecchio di due anni, di Orlando Zapata Tamayo, morto in carcere al termine d’uno sciopero della fame durato 85 giorni e prontamente etichettato dal governo cubano come un “asociale cronico”, un violento che neppure il carcere era riuscito a domare, costringendo le autorità a trasformare una condanna iniziale a quattro anni per desacato (mancanza di rispetto verso l’autorità), in un virtuale ergastolo di 36 anni.

La  ‘Commissione cubana per i diritti dell’uomo e per la riconciliazione nazionale’ ha pubblicamente riconosciuto che “la responsabilità morale della morte di Villar è del governo cubano“; la madre di Zapata più sommessamente concludeva che ciò che questi “prigionieri di coscienza” chiedevano era la semplice garanzia di quegli stessi diritti a suo tempo parzialmente riconosciuti dal tirannico regime di Fulgencio Batista al prigioniero Fidel Alejandro Castro Ruz, incarcerato  e processato dopo l’assalto al Moncada.

Maria Lucia Cazzato


Lo spettro del Titanic ritorna 100 anni dopo: un’assurdità tutta italiana.

La Costa Concordia, il gigante extralusso naufragato la sera del 13 gennaio al largo dell’Isola del Giglio, in una secca di Punta Gabbianara, potrebbe trasformarsi in un incubo per la salvaguardia dell’ambiente oltre che per le vittime di questo “imbarazzante” incidente. In attesa che vengano sentiti il comandante Francesco Schettino e il primo ufficiale in plancia, Ciro Ambrosio, a cui sono contestati reati che vanno dall’omicidio colposo plurimo al naufragio, all’abbandono della nave, al tentativo di fuga e inquinamento delle prove, alcune indiscrezioni cominciano ad emergere: pare che l’urto contro lo scoglio che ha squarciato la chiglia della Costa Concordia sia avvenuto alcune miglia prima dell’isola del Giglio. Lo apprende l’ANSA da fonti investigative. La nave, pur imbarcando acqua, ha proseguito la navigazione e solo successivamente ha invertito la rotta puntando verso il porticciolo Giglio. Proprio l’avvicinamento alla terraferma, – secondo molti soccorritori – ha impedito che l’incidente avesse conseguenze ancor più tragiche e che la nave si inabissasse. È quanto si apprende in ambienti giudiziari. Resta  comunque poco chiaro perché il Comandante della Concordia, una nave lunga 280 metri per 65 di larghezza, capace di ospitare almeno 3.700 passeggeri, scegliesse di transitare, e non per la prima volta, così vicino alla riva. Quali che siano le cause questi sono i risultati: 112.000 tonnellate di ferro arenati a soli duecento metri dalla costa, uno scoglio letteralmente strappato dall’urto violentissimo e rimasto conficcato nello squarcio apertosi sulla carena della nave, e circa 2.400 tonnellate di carburante, oltre a lubrificanti, vernici, sostanze clorurate e amianto che rischiano di riversarsi nelle acque protette dell’ Isola del Giglio, alterando irrimediabilmente il delicatissimo equilibrio marino del Parco dell’Arcipelago Toscano e  del Santuario dei Cetacei, area naturale marina protetta di interesse internazionale, racchiusa tra le coste di Liguria, Toscana e Sardegna. Il capo della Protezione civile Gabrielli rassicura il governatore toscano Enrico Rossi e informa che tre mezzi specializzati sono già pronti a cominciare le operazioni di svuotamento dei serbatoi, definite complesse in relazione alla stabilità della nave. Intanto lunedì prossimo è prevista a Livorno una visita del ministro dell’Ambiente Corrado Clini, presente lo stesso Rossi, per la questione dei bidoni tossici dispersi nel mare antistante la costa livornese. Sarà quella l’occasione, conclude la Regione, per discutere anche del relitto della nave.

Maria Lucia Cazzato


Il Monti dei Pegni: Chiesa e ICI_Imu?

Dopo le polemiche dello scorso dicembre su una possibile riforma della normativa fiscale per una più efficiente tassazione dei beni ecclesiastici, sembra che un accordo tra Stato e Chiesa sia ormai vicino. Lo confermano una serie di incontri tra il Presidente del Consiglio Mario Monti e il Presidente della CEI, la Conferenza Episcopale Italiana, Il Cardinale Bagnasco. Nonostante un’iniziale reticenza, il portavoce del Vaticano si è mostrato aperto ad una possibile discussione, senza pregiudizi, all’insegna di una maggiore equità fiscale. “Se ci sono punti della legge da rivedere o da discutere – ha detto il Presidente della CEI – non ci sono pregiudiziali da parte nostra. Il primo atto da fare quando c’è un po’ di confusione ed agitazione degli animi mi pare che sia quello di fare chiarezza e documentare le cose”.

La legge cui fa riferimento il Cardinale è, nel dettaglio, il decreto del 2006. È  forse utile però ripercorrere la storia delle esenzioni ICI  ricordando che già la legge 504/1992  all’art. 7 prevedeva le esenzioni per le sole attività di culto degli enti ecclesiastici. Nel 2004 la Sentenza n. 4645 della Corte di Cassazione, andando a risolvere un contenzioso di nove anni prima tra il Comune de L’Aquila e l’istituto delle Suore Zelatrici del sacro Cuore, interpretava l’esenzione dell’ICI solo per gli immobili dove si svolgono esclusivamente attività di religione e culto. Il Governo Berlusconi nel 2005, inseriva poi nel decreto 163/2005 un’interpretazione più ampia della legge del 1992 che cancellava gli effetti della Sentenza della Cassazione, riducendone le potenzialità: l’immobile nel quale l’ente ecclesiastico svolgeva un’attività diversa da quella di religione o culto, ma sempre considerata dall’art. 7 sopra menzionato ( attività previdenziali, assistenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali ricreative o sportive), poteva usufruire dell’esenzione.

Da qui al decreto Visco-Bersani, quello del 2006 per l’appunto, il passo è breve: il privilegio veniva semplicemente esteso a tutte le attività che non avessero esclusivamente natura commerciale. In altre parole, ad oggi basta avere anche un piccolo spazio dedicato ad attività «non commerciali» per puntare all’ottenimento dell’esenzione fiscale.

In un futuro molto prossimo i parametri potrebbero cambiare. L’accordo sembra ruotare, per ora, esclusivamente intorno alla  “percentuale dell’immobile da pagare in quanto adibita a fini commerciali” ; è alla chiesa–azienda e  per la sua attività economica che si richiede un giusto contributo fiscale e una maggiore trasparenza. In fondo, in un periodo in cui le si provano tutte per risollevare questo nostro paese dalla crisi e garantire un “futuro alle generazioni successive”, senza poi chiarire realmente quale sarà il destino delle generazioni attuali, qualcosa di positivo già si vede: una maggiore uguaglianza. Monti ha pensato bene che se  bisogna chiedere nuovi sacrifici agli italiani sarebbe giusto esigerli anche dal Vaticano.

                                                                                                      Maria Lucia Cazzato


Arriva il 2012, tra speranze, illusioni e iniquità….

Tra cenoni, trenini e botti, l’Italia ha finalmente salutato il 2011 e accolto speranzosa il nuovo anno che, ahimè, stando alle versioni ufficiali, non si prospetta più semplice del precedente. Crisi, disoccupazione, scioperi e un nuovo abecedario di tasse.

E mentre la RAI trasmette a reti unificate il messaggio del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che con il solito ineguagliabile charme rassicura gli Italiani sulla buona riuscita dell’ “operazione salvataggio” e li invita ad abbracciare con consapevolezza e abnegazione  la politica dell’austerità “per garantire il futuro delle nuove generazioni”, qualcuno che probabilmente non ha modo né tempo di aspettare tempi migliori a Modena, Foggia e Torino, decide di manifestare il proprio disagio facendo esplodere alcuni sportelli di Equitalia. Scelta discutibile, condannabile e certamente strumentalizzabile, ma spiegatelo a chi è finito nelle grinfie di quel mostro rigurgita beni, e purtroppo vite, chiamato Equitalia. 

La Equitalia S.p.a. nasce ufficialmente nel 2007, dalle ceneri della vecchia Riscossione S.p.a., per occuparsi della gestione e riscossione nazionale dei tributi. Solo qualche anno prima una riforma del sistema tributario aveva affidato l’incarico a mani pubbliche, nel 2005. La lentezza delle procedure che contribuisce ad incrementare il tasso di interesse da coprire, un’amministrazione lacunosa  e la corruzione sono state  le prerogative principali della società pubblica che attraverso una serie di riforme  ha visto ampliati i propri poteri. Ultima ma non meno importante, quella varata giusto lo scorso 2011 dal passato Governo Berlusconi, che ha provveduto a snellire le procedure e abbreviarne i termini; finalmente entro soli due mesi dalla decorrenza dei termini la società potrà iscrivere ipoteca sul contribuente considerato infedele (con annessa comunicazione alla Centrale Rischi delle banche con conseguente chiusura del credito), pignorare il suo conto corrente (rendendo impossibile il pagamento di dipendenti e fornitori), avviare i pignoramenti presso terzi (ossia mettere le mani sui crediti verso i clienti) ed azionare le ganasce fiscali sui veicoli posseduti. Efficienza e immediatezza che si sono ben presto trasformate in favoritismi ai partiti, iniquità di trattamento, accanimento nei confronti dei meno abbienti per agevolare l’acquisizione dei beni immobili, merce necessaria ad alimentare un proficuo mercato di aste truccate.

Dunque è giusto condannare la violenza deli “attentati” del 1 gennaio, ma è altrettanto doveroso riconoscere che le ragioni del gesto potrebbero effettivamente essere sacrosante. “Di solito gli uomini quando sono tristi non fanno niente; si limitano a piangere sulla propria situazione; ma quando si arrabbiano, allora si danno da fare per cambiare le cose”, disse Malcom X.

                                                                                                       Maria Lucia Cazzato


Diop e Samb: il prezzo della vita.

17.12.11: In migliaia sono scesi in piazza per mostrare solidarietà alla comunità senegalese, colpita dall’ennesimo episodio di follia razzista. È successo a Firenze questa volta, lo scorso 13 dicembre. Ma Mor Diop e Samb Modou, questi i nomi dei ragazzi uccisi, mentre altri tre, Moustapha Dieng, Sougou Mor e Mbenghe Cheike, versano ancora in gravi condizioni, non sono solo vittime dell’ignoranza che sfocia nell’odio razziale, quanto piuttosto di un sistema di valori che i nostri politici, purtroppo, da anni  diffondono e consolidano, con il risultato di istituzionalizzare e legittimare tendenze xenofobe e più genericamente omofobe. Abbiamo sorriso alle retate igieniche di Borghezio, europarlamentare, che, solo qualche anno fa, nel 2009, spruzzava disinfettante sugli immigrati seduti nei vagoni di un treno; e dimenticato come abbia pubblicamente solidarizzato nel maggio 2011 con Radko Mladi, autore del genocidio di Sbrenica, dipingendolo come “patriota ed eroe nazionale”. Abbiamo tollerato le tendenze antimeridionali, xenofobe  e omofobe di Gentilini, esponente di spicco della Lega Nord, noto a livello internazionale per le sue dichiarazioni contro immigrati, “portatori di malattie”, e “culattoni” (ipse dixit), e fortunatamente per queste condannato.  Razzismo istituzionale.

Giorno dopo giorno, tg dopo tg, il sistema ha favorito lo sviluppo di un’ immagine stereotipata dell’immigrato come socialmente pericoloso: i rom sono ladri, i nordafricani spacciatori e, concedetemi la licenza poetica, le “puttane”  ghanesi o albanesi. Da nord a sud, il migrante si è trasformato da soggetto integrabile in una nuova comunità, in oggetto su cui la comunità accogliente sfoga la propria rabbia, le proprie frustrazioni, le proprie tensioni, acuite dall’attuale crisi economica. Facile ritrovare in un tale clima di incertezza e diffidenza, le cause scatenanti i sempre più numerosi episodi di follia razzista: da Rosarno a Firenze, dai roghi dei campi rom alla periferia di Napoli a quelli più recenti di Torino. Unici a farne le spese quegli invisibili che varcano le frontiere, affrontano il mare e la morte per sfuggire a guerre, carestie e malattie alla ricerca di  un “porto sicuro” in cui cominciare una vita migliore. Ma a quale prezzo…

                                                                                                           Maria Lucia Cazzato


Quando la legge è uguale per tutti…uccidere non è reato.

Recentemente, senza troppi rumori, il Consiglio dei Diritti Umani ha approvato una risoluzione per molti di portata storica: la A/HRC/17/19, accolta dal Parlamento Europeo con la risoluzione sull’ “Orientamento sessuale e identità di genere nell’ambito del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite”, approvata il 28.09.2011, afferma  “i principi di non discriminazione, in base ai quali i diritti umani sono validi per ogni essere umano allo stesso modo senza riguardo per l’orientamento sessuale o l’identità di genere”. Una vittoria importante per tutti coloro che finora si sono appellati al principio di uguaglianza tra gli uomini, ma non per questo meno pericolosa. Mi spiego meglio: se da un lato, l’ONU ha ribadito il principio fondamentale di non discriminazione, impegnandosi tra l’altro a garantire l’abolizione di leggi contro l’omosessualità,  previste dai codici penali di circa 80 Paesi, per lo più africani (solo 5 di loro puniscono tale reato con la pena di morte; vd www.oliari.com/inpiu/paesi.html), e a fornire uno studio dettagliato sulla condizione di gay, lesbiche e transgender di vari paesi, dall’altro ha lasciato privi di protezione giuridica quei soggetti che, costretti dalle vessazioni ad abbandonare la terra di origine, potevano finora avvalersi dello status di Rifugiato Politico o della Protezione Sussidiaria in Paesi terzi. Le violenze, le torture, le discriminazioni che gli omosessuali subiranno da oggi, soprattutto in alcuni Paesi Islamici che, dettisi “molto preoccupati”, hanno sottolineato come i diritti umani universali non includono “i tentativi di concentrarsi sui diritti di certe persone”, non costituiranno più motivazioni valide per avanzare la richiesta di protezione internazionale, perché formalmente non riconosciute o abolite. Una soluzione sottile e arguta al problema immigrazione che affligge il nord ricco del mondo e in primisla Fortezza Europa. Una dimostrazione di come in ambito internazionale globale l’interesse dei soggetti giuridici non sempre corrisponda all’interesse delle persone fisiche, ovvero al nostro.

Fonti:

 

Sveglia il gigante che c’è in te.

Nel profondo dell’uomo albergano sopiti poteri,

poteri che lo stupirebbero

e che egli non ha mai sognato di possedere;

forze che rivoluzionerebbero la sua vita,

se destate e messe in azione!

Orison Sweet Marden

Scegliere di guardare con i propri occhi, di non delegare, di comprendere da sé l’essenza delle cose, analizzando con spirito critico le opzioni che ci vengono presentate… una vera rivoluzione culturale! Essere a  conoscenza non significa conoscere! In questi mesi in cui vi terrò compagnia sarà questo il mio obiettivo: mostrarvi almeno una delle altre facce della medaglia; informare non basta più…. È necessaria l’informAzione, ovvero è necessaria una risposta critica, un’azione appunto, agli stimoli che ci propongono…”è questo il momento di agire; è questo il momento di combattere; è questo il momento giusto per correggersi. (T. da Kempis)”

                                                                                                         Maria Lucia Cazzato


Arrestato Zagaria, duro colpo ai Casalesi. Ma la partita non è ancora vinta…

Alle 12,20 del 7 dicembre 2011, dopo 16 anni è terminata la latitanza del capo dei capi, il boss del clan dei Casalesi Michele Zagaria, stanato dal bunker dove si era rifugiato, costruito sotto un villino colonico di via Crocelle, nel Comune di Casapesenna, in provincia di Caserta. Le trivelle e i martelli pneumatici degli agenti hanno cominciato a lavorare, rivelando un vero e proprio gioiello tecnologico dotato di sistemi basculanti e pareti a scomparsa; trovatosi al buio, senza corrente elettrica, privato del sistema di aerazione e con le lame a pochi centimetri dalla sua testa, Zagaria si è arreso dichiarando di essere disarmato e affermando beffardamente: “Ha vinto lo Stato”. L’onore e l’onere di dirigere l’operazione nella quale sono stati coinvolti 350 agenti, sono toccati al superpoliziotto Vittorio Pisani ex capo della Squadra Mobile e oggi allo Sco (Servizio Centrale Operativo) del Viminale: sarà lui a stringere le manette ai polsi del boss che è stato trasferito in serata al penitenziario di Novara dove lo aspetta  il “41 bis”, ovvero ciò che si definisce “carcere duro”. Ma, secondo Roberto Saviano, dopo questa cattura “eccellente” non si può ancora stare tranquilli: “E’ una bella giornata- afferma lo scrittore -ma la missione non è ancora compiuta: guai ad abbassare la guardia. Zagaria era un capo vero, un imprenditore camorrista che ha usato il metodo criminale per aumentare potere e ricchezza. Vedeva il clan come un’impresa senza regole in economia. I clan sono idre, tagliata una testa ne spunta un’altra. Il colpo mortale lo si avrà solo modificando nel tempo le regole degli appalti, l’accesso al credito delle banche, la gestione politica. Progressivamente bisogna relegare la criminalità solo alle zone d’ombra, non al centro vivo dell’economia. Detto questo, con il suo arresto e quello di Iovine, molto cambierà…Lo spero”. Di sicuro, come ricordato da Saviano, sarebbe deleterio lasciarsi andare a facili entusiasmi; la partita infatti sarà vinta quando si riuscirà a sradicare il cancro della criminalità organizzata con una rivoluzione culturale che non può prescindere dalla partecipazione attiva di tutti i cittadini. Ieri a Casapesenna si respirava una pesante atmosfera di omertà, con molti abitanti che ritenevano il boss “uno di noi, perché ci dava pane e companatico”. Ecco, è qui che lo Stato dovrebbe intervenire per evitare che i criminali si trasformino in benefattori del popolo conquistandosi il silenzio di tutti, la loro arma più importante. Fino a quando ci sarà ancora qualcuno che considererà un “padrino” come “uno di famiglia”, non si riuscirà mai a trionfare definitivamente. Perché se non cambia la mentalità delle persone non ci sarà arresto che tenga.

                                                                                                                  Ivan Corrado