Se il motore fosse la “Persona”

Nell’ istante in cui un uomo decide di entrare in comunione con la società che lo circonda ed esserne parte più o meno attiva, da “individuo” diventa “persona” e in quanto tale viene concepita dallo stato come micro-unità indivisibile del meccanismo complesso ed articolato che tutti noi conosciamo come democrazia. Governo del popolo, letteralmente, la democrazia implica una serie di norme atte alla conservazione di principi cardine quali il pluralismo e la libertà personale che, nel rispetto di tutti, deve contribuire al miglioramento del singolo oltre che, attraverso il lavoro, come definito dall’art. 1 della nostra costituzione, alla crescita sociale più in generale.

Per questo motivo Leggi il seguito di questo post »


Conosci te stesso?

Da quando emettiamo il primo vagito , quello che Lucrezio considera il primo duro contatto con il Mondo, nel momento in cui veniamo alla luce, ci relazioniamo con ciò che ci circonda evolvendo il nostro essere imperfetti e incapaci di esistere autonomamente, al fine di assicurarci il beneficio della sopravvivenza.

Levigando come un artista fa con la sua opera il nostro modo di agire, stiamo sempre attenti a come le cose prima,e le persone poi, ci indichino la giusta strada per vivere insieme. La natura, culla della nostra esistenza, costringe ben presto  l’uomo a “mascherarsi”, a diventare persona oltre che individuo, così da adattarsi ad una realtà bellissima certamente, ma che ci vede solo come fugaci attimi di una storia che va ben oltre ogni uomo.

Così fin da bambino ognuno conosce se stesso in modo apparentemente autonomo con l’esperienza passiva, colpito da mille stimoli. Ma con il tempo ci accorgiamo che tutto sta nel relazionarsi con ciò che non siamo; tutto quello che osserviamo, che sia una rosa, una farfalla o l’amico più fidato, diventa idea contrapposta alla nostra, immagine tanto reale – quanto fittizia – di un’altra entità vivente. Abbiamo coscienza di noi stessi solo quando riusciamo a decodificare il nostro modo di relazionarci con “l’esterno”.

Ma conosciamo davvero noi stessi?

E’ forse proprio grazie agli altri che arriviamo a farlo. Dalle loro reazioni possiamo scoprire quale sia l’immagine che il mondo ha di noi. “Suus nemo est”, disse Seneca: “nessuno appartiene a se stesso”. Così, nessuno può limitarsi a considerare il proprio “Io” lungi dal contesto nel quale vive, ma deve necessariamente calarlo nella sfera comune dell’umanità. La realtà che abbiamo per gli altri, ciò che in realtà siamo, è nella forma che assumiamo ai loro occhi: i nostri simili diventano l’unico modo per conoscere la nostra immagine, (che non siamo veramente NOI, ma l’unico NOI che il mondo può conoscere) cosicché la nostra identità diventa la forma che riusciamo ad assumere. Forma è sostanza.

“Gli altri” siamo noi, credo, perché “gli altri” non sono semplicemente loro, ma le immagini che ci facciamo di loro e che solo noi conosciamo, essendo queste diverse per ogni altro uomo.

Riusciremo a far rispecchiare il nostro essere aldilà delle forme nel quale può manifestarsi?    L’amore non è aprirsi alla vita in questo senso?

                                                                                                        Antonio Napolitano


La nuova “scienza” del PROGRESSO: biotecnologia!

Quale sia il confine tra conosciuto ed indefinito rimane un aspetto fondamentale dell’evoluzione dell’uomo che, solo attraverso la curiosità di alcune grandi menti, comprende di tanto in tanto quale sia la magnificenza del suo stesso intelletto, oltre che della natura perfettamente equilibrata, certo nella sua bellissima complessità.

Ciò che oggi in particolare caratterizza lo sviluppo scientifico è il desiderio di migliorare la vita di ognuno attraverso la creazione di prodotti e processi del tutto innovativi, frutto di applicazioni tecniche al sapere biologico e genetico. Ci si rende conto che il progresso non può prescindere dalla natura e che quando questi due elementi vengono a contatto, è necessaria la passione e la genialità più scrupolosa, poiché ne va del presente e del futuro di tutti noi.

Parliamo di sviluppo “biotecnologico”, scienza che vede le sue origini non più di cinquant’anni fa: il termine stesso “biotecnologia” è coniato solo nel 1981 e tutto ciò a cui si riferisce, si rifà a scoperte non precedenti al XIX secolo. Dimostrazione della modernità di questa scienza del sapere basata sui traguardi scientifici molto recenti che la rendono affascinante e oltremodo controversa.

Del resto la vita è un dono concessoci, ma non è forse nostro dovere tentare di migliorarla, nel rispetto delle sue bellezze e della nostra stessa etica deontologica?

Il fatto che questa nuova frontiera del sapere sia per alcuni tratti controversa è giustificato dal fatto che la bontà delle azioni non può prescindere dallo scopo (sicuramente meritevole), ma che Leggi il seguito di questo post »


La vita è fuori, FUORI DI TESTA!!

Alcune volte pensi a dove potresti essere se solo lo desiderassi veramente, al tempo che ti sembra sfugga via inesorabile, incurante dei tuoi obiettivi. Dici “domani”, ma pensi a ciò che non hai fatto tuo malgrado, forse non tanto perché non lo volevi, ma perché a suo tempo non hai avuto la forza o il coraggio di farlo. Hai incolpato qualcun altro, magari, e le energie alla fine ti sono mancate. Non hai letto quelle pagine, non hai sporcato d’inchiostro il diario del tuo amico, non hai chiesto scusa, non hai pianto. Allora timido e presuntuoso credi che celare il mondo sotto le palpebre serva a farti sentire meglio,almeno con te stesso;

desideri star solo con i tuoi pensieri

Da lì, ad occhi chiusi, sembra quasi che non importi un bel niente di cosa pensino gli altri: “tanto agisco secondo coscienza, universalmente valida. Seguo il mio cuore, al diavolo gli altri!”.

 Chiudere gli occhi serve a toccare l’immensità, ma serve anche conoscere il segreto per accendere la luce della vita!

Hai mai provato a chiudere gli occhi e immaginare nuovi colori?

Prima sembra che ci sia il nulla: nero profondo, quasi bianco tanto è rarefatto e infinito; poi dal rosso all’arancione, come il colore della candela accesa che dal bordo superiore lascia immaginare la fiamma fioca; altri colori più definiti cercano di riempire le ombre partendo dai tuoi ricordi. Quando arrivi alla consapevolezza di aver messo al suo posto anche l’ultimo pezzo del puzzle, apri gli occhi..

Nulla è come lo hai costruito tu !!  Nonostante le cose  le osservi per una vita ogni giorno, non sei stato capace di capirci un tubo. Se anche sei riuscito a cavarci qualcosa da quell’abisso dei tuoi occhi chiusi, ti accorgi poi che è tutto mal fatto.

E succede per gli odori, i sapori, le persone: il tuo dolce preferito, a occhi chiusi diventa un dubbio tutto da scoprire. Non cogli i sapori se anche lo assaggi, non ne apprezzi i colori.

I tuoi genitori, i tuoi amici, il tuo cane … chiudi gli occhi e i loro visi scompariranno. Ti sforzi di ricordare, di creare, di fantasticare:

il viso di tua madre, chiusi gli occhi, non lo ricreerai mai e poi mai!

Forse non riusciamo a ricreare nulla dentro di noi se non lo guardiamo, perché il mortale non è davvero di questo mondo.

 Ospiti dunque, di ciò che è per sempre ..

Pensaci un attimo, non c’è nulla di strano in fondo; la vita è fatta di paradossi: stai guardando nello schermo di un PC certo che non abbia confini e cerchi immagini e musica e non finisci mai di scoprire che le meraviglie non sono certo quelle del libro di geografia. Gli amici su face si moltiplicano? Allora sono il numero uno! Finito lì. Poi cambi punto di vista, e ti accorgi che il tuo sguardo si era perso in un pezzo di plastica non più spesso di un quadro.    Succede sempre che nulla è come pensi che sia.

 

Deluso, chiudi gli occhi…

 Che cosa fai allora, ora che ti sei reso conto che facendolo non troverai nulla di reale?

Leggi il seguito di questo post »


L’emozione che dura un attimo

Il grande  Agostino d’Ippona scrisse che il tempo non è che una dimensione dell’anima, semplice privazione, entità che per l’uomo “non è”, ma che modifica irrimediabilmente l’essere. Non esiste in verità passato né tantomeno futuro, ma l’attimo che sta nel mezzo, destinato a sfuggire da qualsiasi definizione temporale: il “presente”.

Sarebbe possibile oggi concepire la vita senza il tempo? Di certo, qualora decidessimo in senso affermativo, lo intenderemmo molto lontanamente dalla visione gnoseologica kantiana della “Critica”, che vedeva il tempo come categoria di conoscenza “a priori”, senza la quale ciò che ci appare non avrebbe senso e più radicalmente non sarebbe concepibile.

Vediamo invece il tempo in ottica molto più pragmatica, come mezzo nel quale tutto vortica senza apparente ordine, ma verso l’inesorabile destino, (perché no?!) indipendente dalle nostre azioni. Lo scorrere delle lancette di un orologio, il ticchettio ripetuto della pioggia, il battito del cuore, la polvere sul comodino, la rosa che appassisce. Tutto è vita grazie al tempo, e percepiamo inconsciamente cambiamento e distruzione, il progresso. Si prende, lo si sfrutta, viene dimenticato o rubato; il tempo lo si dedica agli amici o all’amore, al denaro o (magari) al vino… Sembra quasi sia diventato di nostra proprietà, così vicino da poterlo afferrare con un pensiero di libertà assolutamente puro.

Non è forse l’esatto opposto del pensiero agostiniano?

Non più la ricerca di cosa sia memoria o ricordo, ma l’impeto della frenesia che per inerzia trascina tutto verso la morte della coscienza.

Si muore in un attimo, ma che la vita per alcuni sembri sfiorire molto prima lo dimostra la stupida volontà di perseguire obiettivi – a volte – tutt’altro che nostri. Così il primo bacio, la prima volta, l’esame, la fine o il principio. Tutti attimi di una vita che si rende meravigliosa e sembra essa stessa meravigliarsi nella sua profonda essenza: l’attesa!

Nella vita così aspettiamo l’attimo giusto – l’occasione per quelli che amano definirla così – ma in quell’attimo, quando tutto si compie, è solo l’attesa a nobilitare il momento. Tutto dovrebbe farci riflettere su quanto sia bella e preziosa la fugacità delle cose, perché è come scattare una foto e soddisfare il desiderio di racchiudere in un sorriso la felicità di un momento indimenticabile, che altrimenti si perderebbe tra gli altri. C’è sempre più la necessità di ragionare su cosa sia vecchio e cosa no, tra storia e arretratezze, futuro e scellerato progresso, sonno o noia, bene e male.

Essere o non essere creature di Dio,

che in un attimo o per tutta la vita custodisce il segreto del Sole,

 dipende anche da questo..

 Allora meno male che c’è il tempo a scorrere,

 lasciando su ogni cosa sia vita gli affascinanti segni del suo viaggio,

 a ricordare all’amore il pensiero della bellezza immortale,

capace di donare al cuore

ormai stanco

quelle piccole gocce di splendore che non hanno età:

               Emozioni!


Aveva ragione Gramsci!!

Un’utopia, ciò che solo ideologicamente si può realizzare, oltre che come progetto non concretizzabile, può essere vista come punto di riferimento sul quale orientare una “fioritura” di idee molto più pragmatiche, ed è forse proprio questo ciò che, diverse centinaia di anni fa, spinse Platone nella stesura di quello che si sarebbe poi rilevato il “modello utopico cittadino”, ancora oggi ricordato. Per non parlare di Thomas More, e prima di lui Campanella, il quale quasi emulerà il progetto di Platone, rielaborando-talvolta anche estremizzandoli- gli ideali di uguaglianza ed autocrazia.

Senza perciò rifiutare il contributo che questi personaggi ci hanno lasciato, è un nostro dovere, quello di noi ragazzi, porci delle domande su ciò che ci circonda e su cosa vorremmo risparmiare ai nostri occhi.

E’ un nostro diritto vivere nel benessere, quello vero, ma è un nostro dovere “costruirlo”:
siamo disgustati dalla politica e dalle ragnatele, immagine della pesantezza burocratica sociale vecchia degli stessi misfatti; così passivamente speriamo che la nostra tutela arrivi da chi è al potere, dimenticandoci che a volte questo  termine non viene inteso come “potere di rappresentazione della popolazione”, ma come sacrosanto principio costituzionale di “non sindacabilità”. Allora perchè non seguire la natura delle cose, quella che secondo Telesio risiede nel principio di autoconservazione (tutti tendono al benessere personale)? Qual è la prima cosa che possiamo fare se ognuno pensa al proprio bene, forse com’è naturale che sia? Visto che la classe dirigente lo sta già facendo, trascurando con egoismo i nostri interessi e dimenticandosi dell’ eredità dei nostri patrioti, la soluzione è quella di fare “cittadinanza attiva”.

Partecipazione sociale, donarsi sviluppando le nostre capacità.

Leggi il seguito di questo post »


L’eredità del mondo

Più che la vita in sé, ho sempre concepito come unico vero dono importante che un uomo possa avere il possesso della curiosità intellettiva: ci spinge senza alcuna spregiudicatezza al sapere, permettendoci di cogliere da ogni cosa quel che la rende unica e preziosa. Così nella vita molti, nati per loro fortuna sani ed intelligenti, si ritrovano in uno stato di più totale stasi; altri, invece, nonostante le difficoltà che il mondo gli riserva, riescono a superare i loro limiti e salire al cospetto della conoscenza pura. È proprio questo il segreto di tutti i più grandi personaggi della storia: il superamento dei limiti. Ma il termine “limitato” non implica pragmaticamente invalicabilità, ma piuttosto un elemento di costrizione imposto per ragioni contingenti, e non certo “assolute”. La comprensione di questo assunto è alla base del sapere “scolastico”: scoprire il fantastico mondo conosciuto, coglierne la bellezza attraverso l’osservazione e la meditazione, assaporarne l’incorruttibilità, la giustezza. Leggi il seguito di questo post »


L’estetica del “Mi Piace”


Basta osservarci per scoprire che nel mondo che ci circonda la nostra individualità sia diventata solo una somma di gusti. L’estetica del “mi piace”, come ormai qualcuno ama definirla, resa fertile da internet e dalla televisione forse, anima la frenetica età moderna.


Così non appare neanche più antiquata a noi giovani (o forse non è stata neanche mai almeno considerata), la riflessione sul pensiero di Kant a proposito del “giudizio riflettente”, secondo cui  l’uomo rispecchia la realtà interiore su quella esteriore. E, come un miracolo, la libertà diventa realtà, tangibile, perché si stabilisce come un ponte tra necessità e volontà morale.

 Ma se tutti e tutto ci spingono oggi a “dire la nostra” tramite due parole (“mi piace”) o con un misero click, bisognerebbe ragionare sulla fondatezza di questo dilagante personalismo. Quante volte abbiamo detto “mi piace”, quante volte abbiamo espresso con naturalezza un giudizio – positivo o negativo – senza pensare al dono che noi stessi ci concediamo, di dire la nostra, anche quando forse non ne avremmo la facoltà sociale? Leggi il seguito di questo post »


La democrazia della sfiducia

“La democrazia è una fede”.

Parole che nella loro semplicità farebbero rabbrividire anche un attento adolescente, visto che da più di un secolo ormai in Italia di “fede” all’infuori di Dio non si è mai sentito parlare, sarebbero il simbolo della crescente “democrazia della sfiducia”. Significherebbe dare vita ad un vortice di altisonanti comizi tenuti da politologi e sociologi, prontamente chiamati alla difesa dell’ establishment. I nostri rappresentanti si sentirebbero offesi, magari direbbero: “è tutto sotto i vostri occhi, il nostro duro lavoro sono i diritti che vi vedete garantiti. Non serve credere e sperare, basta che ci votiate! I veri miracoli sono le nostre leggi..”

Eppure quella breve frase, “la democrazia è fede”, è già stata detta qualche tempo fa, da uno dei filosofi più importanti del nostro tempo: Emanuele Severino. Sarà che le pagine dei quotidiani sono troppo impegnate al seguito di questa o quell’indagine di qualche politico “malcapitato”, alla fine probabilmente queste parole sono arrivate a nessuno o quasi. Ma perché sono così importanti?

Qui il termine “fede” non ha un carattere elusivamente teologico, ma assume significati più ampi ed eterogenei: avere “fede” in qualcosa vuol dire certo credere in concetti in base alla sola convinzione personale (anche a prescindere dall’esistenza di prove), ma anche facendo ricorso alla sola autorità che li ha enunciati. Sarebbe come dire che credo nella promessa che mi fai non solo perché spero avvenga, ma perché mi fido di te che l’hai formulata: non è forse l’immagine della politica di oggi?

Demagogiche illusioni di qualche bravo oratore, che tenta di accattivarsi il favore del popolo mirando alla sua naturale irrazionalità; funziona così ormai, ma ci si limita alla critica, e neanche costruttiva. Chiediamoci allora se una moderna democrazia liberale possa funzionare in un’epoca dove le classi dirigenti sono quasi costantemente sotto critica, a prescindere da quello che fanno o dal livello delle loro rassicurazioni, della trasparenza che adottano. Ed è vero che molti sono costantemente pronti a piangersi addosso o peggio condannare qualcuno, prima di formulare un pensiero coerente e renderlo a tutti.

 

Sarà forse questo uno dei motivi della crisi dei modelli politico-econimici occidentali?

Se pensiamo ai giovani nel ’68 che volevano vivere in un mondo diverso da quello dei genitori, ci accorgiamo che le nuove generazioni lottano per l’esatto contrario. E se ciò non bastasse, il bello delle critiche che le masse fanno cadere sui grandi che li rappresentano, spesso non sono altro che desideri scomposti di vendette e punizioni. Raramente si porta avanti una proposta concreta e ci si rende portavoce di una qualsivoglia idea “rivoluzionaria”: la politica degli anni sessanta è degenerata in un’aggregazione di richieste individuali. E come se non bastasse in un’ Italia in crisi, c’è chi resuscita idee di centocinquanta anni fa.

Allora Napolitano ha ragione quando, in risposta alle voci secessionistiche della Lega, esplicita la loro “grottesca natura, fuori dal nostro tempo”. Se da una parte non si può biasimare un settentrione fervido e forte, che vede nel Sud un peso, dall’altra non è concepibile una divisione tra due parti di uno stesso Stato che se unite vacillano, da sole verrebbero ingoiate dal primo straniero.

Non si comprende che la democrazia non può che essere l’unica forma di governo futura, che vada oltre i confini statali e soprattutto mentali, e che democrazia non significa delegare passivamente un altro, ma scegliere prima con oculatezza il più giusto tra i candidati e successivamente impegnarsi a seguire il suo percorso politico di riformazione! Credo oggi non si faccia né l’uno né l’altro: prima il favoritismo, poi lo scetticismo che degenera nell’assenteismo, tarpano le ali ad uno Stato che si illude del fatto che non esista una differenza tra diffusione della democrazia e diffusione dell’uguaglianza.

La “fede” è un dono che noi stessi dovremmo farci, e sbaglia chi frettolosamente giudica il fedele come ingenuo: le nostre scelte fanno di noi uomini liberi, la nostra libertà costituisce la vera democrazia.

E non ci accorgiamo che le uniche armi che abbiamo sono le uniche importanti: il voto libero ed incondizionato, il senso civico, il rispetto dell’altrui diritto e proprietà, la lotta all’illegalità sono solo degli esempi.

Se è vero che a volte si arriva a confondere volontà con giustizia, verità con maggioranza, critica con polemica, allora se “perchè tutto rimanga com’è, è indispensabile che tutto cambi”, per cambiare tutto che dobbiamo fare?

Antonio Napolitano

In Foto: “Demagogia di un sordomuto”